Articoli relativi a ‘Ipcc’

L’Italia e la mozione anti-europea: no alla green economy

L’Unione Europea è malata di catastrofismo? L’Italia ha la soluzione: via gli impegni a difesa della stabilità climatica, avanti con la vecchia economia basata sul petrolio e sul carbone. In controtendenza col resto d’Europa, la maggioranza che guida l’Italia presenta al Senato una mozione in cui si insegna la scienza agli scienziati dell’Ipcc (l’Intergovernmental Panel on Climate Change) e si chiede all’Europa di abbandonare la linea che ha consentito alla Germania di diventare uno dei leader mondiali nel settore efficienza e delle rinnovabili. La mozione mette in discussione la serietà e la correttezza nella divulgazione dei dati forniti dall’IPCC, nonché la moralità di alcuni suoi principali esponenti e invita a far saltare l’obiettivo europeo al 2020 di una riduzione del 20 per cento dei gas serra, di un aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica e di una quota del 20 per cento di energia da fonti rinnovabili richiedendo l’attivazione in sede di Unione europea della clausola Berlusconi nel senso di dichiarare decaduto, in quanto non più utile, l’accordo del 20-20-20. Alla mozione della maggioranza si contrappone il centro-sinistra che ricorda come l’amministrazione Obama abbia deciso di investire 150 miliardi di dollari in dieci anni nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica per produrre entro il 2015 un milione di auto ibride (da 50 km con un litro) e per portare al 25 per cento entro il 2025 la quota di elettricità prodotta con fonti rinnovabili. Nel campo dell’efficienza energetica, si legge nel testo presentato dal centrosinistra, l’Italia va accumulando sempre più ritardo rispetto ai principali Paesi europei. Fino agli anni ’90 del secolo scorso eravamo uno dei Paesi europei con la più bassa intensità energetica, cioè col più basso rapporto tra energia consumata e Pil prodotto, poi abbiamo progressivamente perduto questo vantaggio e dal 2004 l’intensità energetica italiana è più alta della media della vecchia Unione europea a 15. Un declino che ha comportato effetti negativi sul piano dell’impatto ambientale e climatico, rappresentando un crescente disvalore competitivo per le nostre imprese.

Fonte: La Repubblica

L’Europa verde del futuro: eco-industrie e meno gas serra

Il vecchio continente ce l’ha fatta. L’Europa a 27 ha superato il taglio delle emissioni serra previsto dal protocollo di Kyoto per il 2012 (l’8 per cento). Non solo, ma raggiungerà anche, con anticipo ancora maggiore, il traguardo fissato per il 2020: meno 20 per cento di gas che sconvolgono il clima. L’ asticella delle emissioni che moltiplicano uragani e alluvioni è infatti già scesa a quota meno 17 per cento. Sono i dati contenuti nel rapporto L’ambiente in Europa, uno studio che sintetizza cinque anni di lavoro dell’ Agenzia europea per l’ambiente. Non è stato per la verità solo un percorso virtuoso. Jacqueline Mc Glade, la biologa che dirige l’Agenzia, ha ricordato il ruolo svolto dalla crisi economica nel facilitare la diminuzione degli inquinanti, ma ha assicurato che la ripresa non farà ripartire l’inquinamento: abbiamo avviato il meccanismo della green economy e i risultati già cominciano a vedersi.
L’altra faccia della riduzione delle emissioni inquinanti è, infatti, lo slancio delle industrie verdi. L’Europa controlla il 30 per cento del mercato globale della produzione green e il 50 per cento delle attività di riciclo dei materiali ottenuti recuperando rifiuti. Nel 2008 l’eco-industria dell’Europa a 27 ha fatturato 319 miliardi di euro, il 2,5 per cento del Pil, e ha dato lavoro a 3,4 milioni di persone. E le fonti di energia rinnovabili hanno aiutato a spazzare via una quota di inquinanti: ogni lampadina che si accende con il sole o con il vento è un po’ di anidride carbonica in meno nel cielo, una speranza in più per le centinaia di milioni di persone che rischiano di perdere tutto per colpa dei cambiamenti climatici.
Se il futuro del mondo produttivo – secondo l’Agenzia europea – sarà sempre più verde, il presente è pieno di ombre proiettate dal passato. A cominciare da quelle sul riscaldamento globale.
Mentre a Cancun è appena cominciata la maratona sul clima, da Bruxelles arriva un allarme netto sulle conseguenze del caos climatico provocato dall’uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione. L’Ipcc, la task force di scienziati delle Nazioni Unite, ha fatto una proiezione in base alla quale le temperatura a fine secolo subiranno un aumento compreso tra 1,1 gradi e 6,4 gradi. La seconda è un’ipotesi catastrofica, che porterebbe a sconvolgimenti devastanti. Ed è la più probabile se i governi riuniti a Cancun continueranno a rimandare le decisioni: osservazioni recenti fanno pensare che il ritmo di aumento delle emissioni di gas serra e i relativi impatti climatici si avvicineranno ai limiti superiori delle previsioni Ipcc, ammonisce la ricerca. Per dare un’idea del pianeta che ci attenderebbe se si perdesse la battaglia per l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili, il recupero dei materiali e i nuovi stili di vita, il rapporto fornisce l’ultima stima sul prezzo che abbiamo pagato per le ondate di calore che hanno colpito l’Europa nell’estate del 2003: 70 mila morti aggiuntivi. Non è uno scenario molto lontano da quello che diventerebbe routine in assenza di un cambiamento del modello energetico: Si stima un accrescimento del tasso di mortalità tra l’1 e il 4 per cento per ogni grado di aumento della temperatura al di sopra di un certo livello. A partire dal 2020 si potrebbero superare le 25 mila vittime per anno, principalmente nelle regioni centrali e dell’Europa del Sud. L’Europa è particolarmente esposta a questo rischio perché le aree urbane sono le più soggette alla minaccia delle ondate di calore e oggi 3 europei su 4 abitano in città. Nel 2020 saranno 4 su 10.
Un bambino nato oggi potrebbe arrivare a vedere un pianeta più caldo anche di 6 o 7 gradi, ha concluso Jacqueline Mc Glade. Nel Mediterraneo il numero di giornate sopra i 40 gradi potrebbe raddoppiare, i ghiacciai alpini sparire nell’arco del secolo e la mancanza d’acqua costringere a scegliere tra bere e innaffiare. Ma non è uno scenario già scritto. Abbiamo ancora uno spazio, sia pure estremamente ridotto, per intervenire. Se riusciremo a scrollarci di dosso l’inerzia che ha rallentato i cambiamenti economici necessari potremo fare molto. Una parte dei danni è inevitabile perché i gas serra che li produrranno viaggiano già in atmosfera, ma il disastro può ancora essere evitato chiudendo il rubinetto dell’inquinamento.

Fonte: LaRepubblica