Il vecchio continente ce l’ha fatta. L’Europa a 27 ha superato il taglio delle emissioni serra previsto dal protocollo di Kyoto per il 2012 (l’8 per cento). Non solo, ma raggiungerà anche, con anticipo ancora maggiore, il traguardo fissato per il 2020: meno 20 per cento di gas che sconvolgono il clima. L’ asticella delle emissioni che moltiplicano uragani e alluvioni è infatti già scesa a quota meno 17 per cento. Sono i dati contenuti nel rapporto L’ambiente in Europa, uno studio che sintetizza cinque anni di lavoro dell’ Agenzia europea per l’ambiente. Non è stato per la verità solo un percorso virtuoso. Jacqueline Mc Glade, la biologa che dirige l’Agenzia, ha ricordato il ruolo svolto dalla crisi economica nel facilitare la diminuzione degli inquinanti, ma ha assicurato che la ripresa non farà ripartire l’inquinamento: abbiamo avviato il meccanismo della green economy e i risultati già cominciano a vedersi.
L’altra faccia della riduzione delle emissioni inquinanti è, infatti, lo slancio delle industrie verdi. L’Europa controlla il 30 per cento del mercato globale della produzione green e il 50 per cento delle attività di riciclo dei materiali ottenuti recuperando rifiuti. Nel 2008 l’eco-industria dell’Europa a 27 ha fatturato 319 miliardi di euro, il 2,5 per cento del Pil, e ha dato lavoro a 3,4 milioni di persone. E le fonti di energia rinnovabili hanno aiutato a spazzare via una quota di inquinanti: ogni lampadina che si accende con il sole o con il vento è un po’ di anidride carbonica in meno nel cielo, una speranza in più per le centinaia di milioni di persone che rischiano di perdere tutto per colpa dei cambiamenti climatici.
Se il futuro del mondo produttivo – secondo l’Agenzia europea – sarà sempre più verde, il presente è pieno di ombre proiettate dal passato. A cominciare da quelle sul riscaldamento globale.
Mentre a Cancun è appena cominciata la maratona sul clima, da Bruxelles arriva un allarme netto sulle conseguenze del caos climatico provocato dall’uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione. L’Ipcc, la task force di scienziati delle Nazioni Unite, ha fatto una proiezione in base alla quale le temperatura a fine secolo subiranno un aumento compreso tra 1,1 gradi e 6,4 gradi. La seconda è un’ipotesi catastrofica, che porterebbe a sconvolgimenti devastanti. Ed è la più probabile se i governi riuniti a Cancun continueranno a rimandare le decisioni: osservazioni recenti fanno pensare che il ritmo di aumento delle emissioni di gas serra e i relativi impatti climatici si avvicineranno ai limiti superiori delle previsioni Ipcc, ammonisce la ricerca. Per dare un’idea del pianeta che ci attenderebbe se si perdesse la battaglia per l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili, il recupero dei materiali e i nuovi stili di vita, il rapporto fornisce l’ultima stima sul prezzo che abbiamo pagato per le ondate di calore che hanno colpito l’Europa nell’estate del 2003: 70 mila morti aggiuntivi. Non è uno scenario molto lontano da quello che diventerebbe routine in assenza di un cambiamento del modello energetico: Si stima un accrescimento del tasso di mortalità tra l’1 e il 4 per cento per ogni grado di aumento della temperatura al di sopra di un certo livello. A partire dal 2020 si potrebbero superare le 25 mila vittime per anno, principalmente nelle regioni centrali e dell’Europa del Sud. L’Europa è particolarmente esposta a questo rischio perché le aree urbane sono le più soggette alla minaccia delle ondate di calore e oggi 3 europei su 4 abitano in città. Nel 2020 saranno 4 su 10.
Un bambino nato oggi potrebbe arrivare a vedere un pianeta più caldo anche di 6 o 7 gradi, ha concluso Jacqueline Mc Glade. Nel Mediterraneo il numero di giornate sopra i 40 gradi potrebbe raddoppiare, i ghiacciai alpini sparire nell’arco del secolo e la mancanza d’acqua costringere a scegliere tra bere e innaffiare. Ma non è uno scenario già scritto. Abbiamo ancora uno spazio, sia pure estremamente ridotto, per intervenire. Se riusciremo a scrollarci di dosso l’inerzia che ha rallentato i cambiamenti economici necessari potremo fare molto. Una parte dei danni è inevitabile perché i gas serra che li produrranno viaggiano già in atmosfera, ma il disastro può ancora essere evitato chiudendo il rubinetto dell’inquinamento.
Fonte: LaRepubblica