Articoli relativi a ‘clima’

Germanwatch: Italia fanalino di coda sulle politiche ambientali

È in affanno l’Italia sulle politiche ambientali. Meglio: è il fanalino di coda. Germanwatch lo certifica. L’associazione non governativa che ogni anno, in occasione delle conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, stila la classifica dei buoni e dei cattivi, analizzando i 60 Paesi che rappresentano oltre il 90 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica.
Quest’anno Germanwatch, in collaborazione con Can Europe e Legambiente, ha sistemato l’Italia al 41° posto (su sessanta) nella graduatoria dei Paesi che emettono più anidride carbonica nel mondo. E dire che ci sarebbe quasi da tirare un sospiro di sollievo, visto che lo scorso anno eravamo al 44°. Ma, purtroppo, è la crisi economica che ci a fatto guadagnare queste tre posizioni in classifica. Le fabbriche chiuse. Le industrie in ribasso. Non certo i nostri sforzi nelle politiche ambientali: l’Italia, infatti, è al 58° posto, in questo. Tradotto: non si è fatto nulla per le tecnologie pulite, le energie rinnovabili, l’efficienza energetica. In una parola: in Italia non abbiamo investito nella cosiddetta green economy. 
Spiega Mauro Albrizio, responsabile a Bruxelles di Legambiente: Tutti i Paesi che si stanno riprendendo dalla crisi stanno investendo in questo. Prendiamo, ad esempio, la Cina e gli Usa. La Cina, che è al 56° posto in politiche ambientali, ha investito in green economy 230 miliardi di dollari. Così gli Stati Uniti: al 54° posto, hanno investito 80 miliardi. L’Italia nulla.
In Europa l’investimento in green economy non supera i 30 miliardi di dollari, il 40 per cento dei quali soltanto da parte della Germania. Tra i 27 Paesi dell’Europa la performance climatica dell’Italia è al ventunesimo posto, avanti soltanto a Estonia, Grecia, Slovenia, Bulgaria, Lussemburgo e Polonia. Da segnalare: non c’è nessuno fra i Paesi del mondo che hanno conquistato il podio di quelli che emettono anidride carbonico. E il primo di questi in classifica è il Brasile, al quarto posto, posizione meritata per il suo uso dei biocarburanti e per i primi passi nel contenimento della deforestazione.

Fonte: Corriere

Cancun: accordo difficile senza proroga Kyoto

Se non ci sarà un secondo periodo di impegno, sarà molto difficile raggiungere un pacchetto equilibrato (di decisioni) in questa negoziazione, ha informato la rappresentante del Venezuela, Claudia Salerno, durante una conferenza stampa.
Si trovavano al suo fianco i negoziatori degli altri Paesi dell’Alba: Bolivia, Ecuador, Nicaragua e Repubblica Dominicana. Non siamo disposti a cedere sulle nostre posizioni, ha aggiunto. Questa dichiarazione arriva alcuni giorni dopo che il Giappone ha ribadito, con grande fermezza, che non assumerà impegni per un secondo periodo nel quadro del protocollo di Kyoto, la cui prima scadenza è a fine 2012. I Paesi del Sud insistono per un’estensione di questo trattato firmato nel 1997, poiché è il solo strumento legale che ha obbligato i Paesi industrializzati a limitare le loro emissioni di gas a effetto serra (Ges) all’origine del cambiamento climatico. Entro il 2012, devono ridurle di oltre il 5 per cento rispetto al 1990. Tokyo si rifiuta però di vincolarsi, mentre il protocollo di Kyoto non copre più che circa il 30 per cento delle emissioni globali di Co2 e non impegnano i due Paesi che inquinano di più al mondo, la Cina e gli Stati Uniti, che non l’hanno ratificato. Mercoledì il negoziatore principale del Brasile, Luiz A. Figueiredo, avevano giudicato che si trattasse di una “questione chiave”. Da parte sua l’Unione europea ha ripetuto varie volte a Cancun di essere favorevole a una proroga, a determinate condizioni. Delegazioni di oltre 190 paesi sono riunite dal 29 novembre, al 10 dicembre, nella località balneare messicana per dare un nuovo slancio ai negoziati sulla lotta contro il cambiamento climatico, dopo la delusione di Copenaghen, un anno fa.

Fonte: LaStampa

La svolta della Cina sul clima? Errore di traduzione

La notizia ha fatto il giro del mondo, rapidissima visto che il mondo qui a Cancun è concentrato dentro un albergo, seppure molto grande. Il 7 dicembre Su Wei, negoziatore cinese per la conferenza sui cambiamenti climatici, ha regalato ai media titoli di apertura e approfondimenti di primo piano: “La svolta della Cina su Kyoto”. Brividi nella comunità internazionale: per la prima volta la Cina aveva detto sì agli impegni vincolanti e ai controlli internazionali sulle emissioni di CO2. Il punto nodale della trattativa sul protocollo di Kyoto. La pietra dello scontro fra i due grandi inquinatori del mondo, Cina e Stati Uniti.
Con un dettaglio: la svolta della Cina non era vera. C’era stato un errore di traduzione. Le parole di Su Wei pronunciate in cinese erano state riportate male dall’interprete della conferenza. Todd Stern, capo negoziatore americano qui a Cancun, aveva fiutato l’errore. E quando è stato assalito dai giornalisti che volevano una sua reazione alla “storica svolta della Cina”, ha provato a balbettare: Veramente a me non sembra che ci siano cambiamenti nella politica cinese. Ma niente da fare. La sua è stata interpretata come una mossa tattica, in difesa. Il tentativo di minimizzare la storica apertura della Cina. E’ dovuto scendere in campo Xie Zhenua, il capo delegazione del governo cinese. Una conferenza stampa con i crismi della diplomazia negoziale. Lungi dal denunciare un errore di traduzione, Xie Zhenua ha ripetuto pacatamente la politica cinese sulle riduzioni di CO2 che, tra le altre, vede la Cina come il paese al mondo che investe di più in energia rinnovabile. In conferenza stampa Xie Zhenua ha scandito lentamente i punti nodali della politica sulle riduzione delle CO2. Parlando, rigorosamente, in inglese.

Fonte: CorriereDellaSera