Archivio della categoria ‘“Bell’Italia dimenticata”’

Sezione dedicata a luoghi di interesse storico-culturale abbandonati all’incuria e al degrado. Questo vuole essere uno strumento di silente denuncia nei confronti di quella parte d’Italia lasciata a se stessa e per questo declinata all’oblio.

Arredare la casa secondo il Feng Shui

Feng-Shui-600x450Il Feng Shui è l’antica arte orientale di origine cinese che regola la composizione e l’architettura degli spazi interni della casa con l’obiettivo di generare benessere e armonia. Nulla è lasciato al caso, dalla disposizione dei mobili e dei complementi alla scelta dei colori delle pareti, e tutto segue una precisa logica.
Il Feng Shui è un’arte molto antica che arriva dalla Cina e significa alla lettera “vento” e acqua”, i due elementi primari che dominano la terra. Le sue origini sono incerte, ma quello che è assodato è che le teorie del Feng Shui si applicano alla casa e per ricreare un equilibrio di armonia all’interno dell’abitazione.
Tutte le regole del Feng Shui si basano sulla presenza, e sull’assenza, di energie positive e negative, che vanno incanalate e allontanate in base alla disposizione dei mobili principali e dei complementi d’arredo. Ecco allora quali sono gli aspetti più salienti delle regole del Feng Shui.
Letto e divano
Sono due dei complementi fondamentali dentro qualsiasi casa. Secondo il Feng Shui il letto deve trovarsi lontano dalla porta d’ingresso della camera, possibilmente non di fronte all’ingresso, mentre il divano va posto a ridosso di una parete, in modo che offra protezione alle spalle di chi è seduto, e deve essere rivolto verso l’entrata, segno di immediata ospitalità.
Finestre
Secondo l’arte del Feng Shui le finestre devono essere sufficientemente ampie per permettere alla luce del sole di illuminare gli spazi. I tendaggi, quindi, devono avere colori chiari e avere una trama sottile e poco ingombrante.
Cucina
Le regole che gestiscono lo spazio della cucina sono poche, ma fondamentali. Per prima cosa, la porta non deve essere frontale al piano di lavoro, per evitare che chi cucina dia le spalle all’ingresso. Il forno, invece, deve avere la giusta distanza dal lavello e dal frigorifero.
Bagno
Il bagno, per le regole del Feng Shui, deve trovarsi a debita distanza dalla cucina per questioni di igiene e deve garantire una buona illuminazione per consentire benessere e relax durante il tempo dedicato alla cura della persona.
Gli specchi
Il Feng Shui attribuisce molta importanza agli specchi, che hanno in questo caso la funzione di incanalare e dirigere il flusso di energia che circola dentro casa. Il salotto e il corridoio sono gli spazi più idonei ad accogliere uno specchio, mentre la camera da letto non lo è, per il principio secondo cui avere uno specchio in camera, in particolare vicino al letto, potrebbe ostacolare il sonno.
Giardino
Anche il giardino, essendo parte integrante della casa, deve seguire regole precise, una in particolare: l’ordine e la pulizia. Niente foglie secche sparse per il prato, quindi, e accessori disseminati lungo tutta la superficie; aumentano la sensazione di disordine e di conseguenza interrompono il flusso di energia positiva.

Fonte: Arredamento News

Eco arredo per la linea Sidney di Bizzotto Mobili

ecoarredo-per-la-linea-sidney-di-bizzotto-mobili_27409_bigL’eco-chic è diventato sempre più di tendenza. Preferiamo pezzi unici che abbiano anche un valore benefico per l’ambiente, a cose fatte in serie e che si rivelano senz’anima. Dalla moda all’arredamento tutto diventa sostenibile, così da permetterci di agire e vivere senza danneggiare il nostro pianeta. Si stabilisce lo stesso obiettivo anche la linea Bizzotto Mobili, che presenta un’esclusiva proposta di design eco per l’arredo del salotto.
Linea Sidney: arredamento eco-chic
Una collezione di mobili e di complementi d’arredo pensata interamente per la stanza del relax: la linea Sidney di Bizzotto Mobili pensa ad uno stile unico per il salotto. Le linee naturali risultano eleganti, grazie alla pregiata lavorazione di grossi tronchi di legno d’origine pluviale. La collezione di arredi dà vita a un tavolo dal carattere deciso, un mobile creato da veri intenditori del mestiere, che combinano la maestosità allo stile.
Nel salotto della linea Sidney ci colpisce la particolare libreria, nata dall’accostamento tra stile natural e design ardito: la radica diventa la base che custodisce i nostri libri e i nostri oggetti, comodamente riposti su mensole di vetro.
Ultimo dettaglio di stile è l’elegante panca: un comodo appoggio che fonde la lavorazione della radica alla finitura argentea delle gambe, combinate al blu brillante degli schienali. Colpisce il particolare dei profili nodosi e frastagliati della panca, capaci di dare vita a qualsiasi tipo di ambiente.

Fonte: Econews

Bell’Italia dimenticata. La zona del Pilastro a Bologna.

C’è un quartiere densamente popolato a Bologna denominato Pilastro, situato all’interno del Quartiere San Donato. La sua progettazione ebbe inizio nel 1962, quando l’Istituto Autonomo Case Popolari propose la costruzione di una nuova zona di edilizia popolare, per rispondere alla necessità di offrire un alloggio alle ondate di immigrati meridionali giunti a Bologna in seguito al suo sviluppo industriale.

Il Villaggio del Pilastro nacque nel 1966 e nella zona si concentrarono consistenti insediamenti residenziali, vaste aree adibite a verde sportivo ed a parco pubblico e un centro commerciale. I primi 2500 abitanti, provenienti soprattutto dal sud Italia, trovarono un ambiente poco confortevole.

Tuttavia, la concezione del Pilastro come il “quartiere meridionale” della città va in parte rivista. Infatti, da un’indagine condotta nel marzo 1970, emerse che il 56% degli abitanti provenivano dal Nord. Negli anni ‘80 e ‘90 si verificarono altre due consistenti ondate d’immigrazione: quella magrebina e quella proveniente dal Kosovo, dalla Serbia e dal Montenegro.
Attualmente al Pilastro ha sede un C.d.A. nomadi, che accoglie soprattutto famiglie Rom provenienti dai paesi della ex-Yugoslavia.

La situazione di disagio è dovuta anche ad altre cause: il quartiere Pilastro, infatti, è sempre stato carente di luoghi e di momenti di socializzazione e di svago. Probabilmente per questo tende a essere concepito dai propri abitanti come “dormitorio”.

Video originale dal canale ‘nonnaida‘ di Youtube.

L’ex Colonia Novarese di Rimini

Tutta la costa Romagnola da Ravenna fino a Cattolica, durante il ventennio fascista, diviene uno tra i luoghi più accreditati per la costruzione di colonie per bambini, per le federazioni fasciste del nord-Italia. Il timore che la presenza di colonie marine, possa costituire un freno, alla costruzione di ville e pensioni e svalutare gli arenili e i fabbricati limitrofi esistenti, spinge i maggiori Comuni della riviera a confinarle in aree periferiche del proprio territorio, datata 1934, la colonia novarese di Rimini venne costruita in 120 giorni. La costruzione originale e razionale, con la sua sagoma simile ad un transatlantico, consta dopo le modifiche di 5 livelli fuori terra. La lunghezza del fabbricato è di 117 metri, ed era capace di contenere 1200 persone. Al centro del prospetto sorge come elemento distintivo, una torre littoria dell’altezza di circa 30 metri, sulla quale erano apposti tre fari: nelle tonALITà DEL verde, il bianco ed il rosso, visibili a distanza. La colonia di Rimini era fornita di tutti i servizi necessari e dei più moderni sistemi tecnici, era dotata di palestra, aveva un arenile proprio, nonché un terreno annesso di circa 37.000 mq. Vista la distanza dalla stazione di Rimini, per facilitare lo sbarco dei bimbi, si era ottenuta dal Comune una fermata del treno, speciale. L’arredamento completo della colonia, era stato curato in modo particolare, al fine di non far assumere l’aspetto monotono di una casa di cura. Dal 1937, il complesso fu dotato di un padiglione infermeria anch’esso completamente autonomo. Ad oggi la costruzione è stata completamente lasciata a se stessa, nonostante costituisca assieme a molte altre colonie della Provincia di Rimini, un pezzo di storia del nostro paese.

Se vuoi consultare una tesi sul manufatto clicca qui

Servizio video Chiara Vannoni

Colloto

Colloto è un antico aggregato rurale situato nei pressi di Mozzano a circa venti minuti dal centro storico di Ascoli Piceno. Il paese si raggiunge percorrendo l’antica Via Salaria da Ascoli in direzione Roma.  Il borgo rurale si  sviluppa su un crinale  e possiede  origini antiche:  i Guiderocchi  infatti, nobile famiglia ascolana proprietaria della maggior parte di questi luoghi montani  in epoca medioevale, donarono in parte, ed in parte vendettero,  il territorio di Colloto alla città di Ascoli, presumibilmente tra il 1100 e il 1290. Colloto già nel 1500 era una villa ascolana e nel 1790 la sua popolazione era composta da 13 famiglie; fino agli anni ’50 è stato abitata da famiglie dedite all’agricoltura, in particolare alla coltura della vite ed alla vinificazione, al pascolo, all’allevamento, al taglio del legname di castagno ed alla raccolta delle castagne stesse. Ogni edificio è composto da più unità abitative appartenenti a diversi nuclei familiari e di diversa proprietà: come tanti “pseudo-condomini”,  che  allo stato attuale  sono  completamente  disabitati  e versano in una situazione di estremo degrado dovuta anche al fenomeno dilagante dei “ladri di pietre”..
I  proprietari  rimasti  hanno inoltrato  recentemente  una petizione al  comune di  Ascoli Piceno, chiedendo di procedere alla demolizione degli edifici pericolanti del nucleo.
Tuttavia,  l’unica questione di competenza comunale consiste nella  messa in sicurezza delle parti pericolose per l’incolumità pubblica,  le cui spese sono a carico dei proprietari stessi. Attualmente  l’unico modo per salvare e  recuperare  il nucleo rimane  l’acquisizione degli edifici da parte di un privato.

Per approfondimenti è possibile consultare la Tesi Conservazione e riqualificazione tecnologica del nucleo rurale di Colloto di Francesca Vecchi, discussa presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno – Università di Camerino, a.a. 1998/1999

Condizioni dell’Acquedotto Mediceo Pisa-Asciano

L’Acquedotto Mediceo è un’opera di ingegneria della fine del Cinquecento/primi Seicento, che servì per portare l’acqua di Asciano, di ottime qualità minerali, fino alla città di Pisa, con un percorso di oltre 5 chilometri.

Fu Cosimo I de’ Medici a volere il progetto di un acquedotto in grado di rifornire la città di Pisa dell’acqua dei Monti Pisani. Si deve tuttavia al Granduca Ferdinando I la costruzione del lungo acquedotto che dal Bottino di San Rocco nella valle delle Fonti arriva sino alle mura di Pisa. Iniziato nel 1592 su disegno dell’architetto Raffaello di Zanobi di Pagno, a cui successe il senese Andrea Sandrini, comprendeva più di 900 archi e si snodava su un percorso di 6 chilometri.

Oggi, l’acquedotto si staglia nella campagna fra Asciano e Pisa, in gran parte ancora esistente, presenta però gravi problemi di conservazione, che possono determinare a breve danni irreversibili, specie in caso di terremoto.

Immagini riprese dal video del canale Youtube ‘sersaba‘.

Bell’Italia dimenticata. Ex Colonia Varese di M.Marittima

La “Colonia Varese” è ubicata a nord di Milano Marittima, accanto all’altra colonia di epoca fascista, di grandi dimensioni, chiamata “Montecatini” e dagli anni ’90 di proprietà della Sovrintendenza dei Beni Culturali, in quanto compiuti i cinquant’anni dalla data di costruzione.

Si tratta di una struttura realizzata in architettura razionalista da Mario Loreti (1937-39) e conosciuta anche con il nome di colonia Marina Costanzo Ciano. La sua peculiarità è la convivenza, all’interno della medesima struttura, di due edificazioni, l’una risalente al 1937 (ideata dall’architetto romano Mario Loreti per la Federazione dei Fasci della provincia di Varese), l’altra intorno al 1960, periodo in cui é stato intrapreso un progetto di ricostruzione, mai conclusosi.

Durante il periodo bellico fu trasformata in ospedale, tant’è che sul lato mare sono ancora presenti i disegni di due grandi croci rosse.

Nel 1983, la colonia, è stata anche protagonista di alcune scene cruciali del film horror Zeder, diretto dal regista Pupi Avati e sceneggiato insieme a Maurizio Costanzo. Ad oggi teatro per edifici fatiscenti, a ridosso della spiaggia.

Video originale dal canale ‘LaVoceRomagnola‘ di Youtube.

Ex stabilimento aeronautico Caproni di Predappio.

Nel 1935 Mussolini collocò nel suo paese di origine una nuova fabbrica aeronautica affidandone la direzione all’ingegnere italiano Giovan Battista Caproni: da quello stabilimento uscirono i 150 esemplari del Caproni Ca 164.

Lo stabilimento aeronautico di Predappio è un complesso architettonico costituito da una serie di corpi di fabbrica disposti lungo l’impluvio di una stretta gola racchiusa dai rilievi collinari del territorio da Predappio Nuova. Inglobando due preesistenti edifici gemelli appartenenti alla società Zolfi, che estraeva dal colle il materiale, nel 1933 iniziarono i lavori della parte bassa del complesso.

I due piani sui quali venne impostata dividevano le lavorazioni meccaniche della fresatura e torneria da quelle, al piano superiore, di saldatura e intelaiatura. Ben presto venne dotata anche di due capannoni, oggi non più esistenti, situati col retro dello stabilimento ed a quota superiore, dove vennero ricavati i reparti idonei alle lavorazioni finali di falegnameria e montaggio, accessibili tramite una strada laterale.

Nell’estate 1940 vennero completati i progetti dell’ingegnere Alessandrini di Bologna per il nuovo ampliamento; un capannone rettangolare di grandi dimensioni raggiunge la quota più alta del complesso edilizio, in prossimità della cima del colle, attraverso la sovrapposizione di quattro diversi livelli che, seguendo il profilo dell agola, assumono planimetrie sempre più grandi, dal basso verso l’alto.
Questo almeno da quanto appare nelle foto dell’epoca e nelle diverse pubblicazioni propagandistiche del periodo.
Sono invece opera dello scultore bolognese Ulderigo Conti i tondi scultorei  previsti da Florestano Di Fausto nella parte centrale al di sopra del cornicione ed anche le testine poste nelle chiavi di volta degli archi del portico.

Video originale dal canale youtube ‘lavoceromagnola

‘Isola delle rose’ dal 1968 nei ricordi di Rimini

L’Isola delle Rose (in esperanto Insulo de la Rozoj) fu una piattaforma artificiale nel mare Adriatico 11,612 km al largo di Rimini, 500 m al di fuori delle acque territoriali italiane, che nel 1968 venne proclamata dal suo fondatore, l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, Stato sovrano. L’esperienza dell’autoproclamata Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose durò poche settimane, durante l’estate dello stesso anno. Ora a ricordarne l’esistenza un video documentario diretto da Stefano Bisulli e Roberto Naccari e scritto dai due registi con Giuseppe Musilli e Vulmaro Doronzo.

Il documentario realizzato da Cinematica a quarant’anni dall’estate del 1968 ricostruisce la vicenda dell’Isola delle Rose attraverso le testimonianze dei protagonisti, a partire dall’ingegner Giorgio Rosa, che vive a Bologna e che torna a parlare della sua isola e spiega il perché della proclamazione di una nazione indipendente. Lorenzo, il figlio dell’ingegner Rosa, rievoca i ricordi di bambino e quanto quella storia abbia segnato la vita familiare. Emozioni che vengono ripercorse anche da Gabriella Chierici, la moglie dell’ingegner Rosa. E poi l’amarezza di don Duilio Magnani, che nella sua parrocchia di Rimini ancora tiene corsi di esperanto, la lingua ufficiale della sfortunata Repubblica dell’Isola delle Rose, che ricorda come l’organizzazione mondiale degli esperantisti avesse deciso di far sorgere sull’isola il suo centro internazionale. A Rimini vive ancora Mario Angelucci, l’addetto della Capitaneria di Porto che aveva curato la “pratica”, che contesta la liceità della piattaforma ma ne conferma la genialità dal punto di vista turistico.

Sferisterio riminese (1816): ciò che ne resta

Lo sferisterio di Rimini, cominciato nell’ottobre del 1815, fu terminato nel giugno dell’anno seguente e inaugurato il 24 giugno 1816 con una partita fra locali e noti giocatori forestieri. Nell’Ottocento lo sport di gran lunga più popolare era il gioco del pallone, che – a dispetto del nome – niente ha a che spartire col calcio attuale. Si giocava con una coriacea palla di cuoio e nodosi bracciali di legno ricoperti di aculei, in quattro contro quattro. Gli sferisteri dove si disputavano le partite, erano muniti, da un lato, di un altissimo muro di mattoni, contro cui si faceva rimbalzare la palla. In questo secondo dopoguerra è stata fatta piazza pulita dei generosi doni di Angelo Antimi, abbattendo improvvidamente lo sferisterio e radendo al suolo Villa Sartoni col suo parco, per costruirvi proprio il Palazzetto dello Sport. A Rimini dell’antico sferisterio resta solo un portale coperto d’edera, che fu murato nel secondo dopoguerra e si trova tuttora in Via Massimo D’Azeglio.

Servizio di Chiara Vannoni.

La Fonte Sacramora a Rimini

Elemento caratteristico di Viserba sono le sorgenti naturali d’acqua provenienti da falde acquifere del sottosuolo, una delle quali ha preso il nome di Sacramora. La Fonte, di antica origine e simbolo del territorio versa attualmente in uno stato di abbandono e degrado che non merita. Il video a documentazione della situazione attuale.

Una leggenda risalente al Medioevo fa risalire il nome Viserba a “fundus viserbae” derivato dal latino dell’epoca da “via acerba” ovvero strada arida, acerba. Tale nome si fa risalire ad un’antica leggenda, in cui si narra del ritrovamento avvenuto tra l’anno 961 e 973 nel mare Adriatico di un arca marmorea contenente il corpo di un martire. Il martire reo di essere confessore di Cristo, venne chiuso nell’arca con alcuni serpenti e sassi arenari, infine gettato in mare. Il luogo del ritrovamento del martire prese il nome di Sacramora, ovvero “fermata sacra”. In questa zona, all’epoca paludosa, delle pozze di acqua davano origine a fonti sorgive dal sottosuolo, una di queste pozze prese così il nome di Sacramora, le cui acque ancora oggi sono ritenute salutari e diuretiche. Fonte: EdicolaWeb.net

Video realizzato da Chiara Vannoni.

Approfondisci su: ChiamamiCittà; ComunediRimini

Stazione Radiografica Marconi Coltano – Pisa

Nel 1903 inizia la storia del centro radio di Coltano, con l’approvazione del Governo Italiano della costruizione della stazione radiotelegrafica. Nel novembre 1911 venne inaugurato l’Impianto alla presenza del Re e di Marconi con i primi collegamenti con Massaua e Mogadiscio.

Dal 1919 al 1924 venne impiegato dalla Regia Marina per estendere le comunicazioni alle imbarcazioni in navigazione in Vlf (16-18 khz), grazie anche ad un ampliamento delle antenne. Fu infatti nel 1920 che venne realizzata un’ampia antenna “a tenda” di 240 metri di lato, retta da piloni alti 250 metri.

Il Centro, che fino al 1940 veniva regolarmente impiegato per comunicazioni con tutto il mondo, vide distrutte completamente le antenne durante la seconda guerra mondiale, mentre la Palazzina Marconi subì solo minimi danni; tuttavia le antenne non vennero mai più ricostruite, e le strutture non vennero più riutilizzate.

Dal 1952 lo spazio adiacente al centro radio è stato utilizzato dalla Rai per impiantare due trasmettitori ad onde medie per servire la zona di Pisa.

La stazione Radiografica è oggi in uno stato di profondo degrado occorrono quindi risorse per effettuarne il recupero. Attualmente la Stazione Marconi è di proprietà demaniale. Il Comune di Pisa ha intenzione di restaurarla e trasformarla così nel “Museo della Radio” attraverso un progetto di collaborazione con l’Università.

Video rintracciabile sul canale Youtube ‘Marcofilippeschi1‘.

L’ex Colonia Murri di Bellariva (RN)

L’intero complesso della colonia Murri, realizzato dalle Opere Pie di Bologna ed Imola nel 1911, è intitolato al famoso patologo dell’Università di Bologna Augusto Murri morto nel 1932, fu utilizzato fra le due Guerre Mondiali per ospitare e curare i bambini affetti di scofolosi, più tardi ospitando semplicemente bambini poveri. Con la battaglia di sfondamento della linea gotica, l’edificio subì forti danneggiamenti, ma essendo la colonia vincolata ai Beni Architettonici ed Ambientalisti, rimase per anni un buco nero nella zona di Bellariva.

Negli anni, diverse sono state le delibere del Comune atte a ridare vita all’area, nel 1991 si costituì il diritto di superficie nei confronti di Rimini and Rimini Spa. A seguito negli anni 1993 e 1994, nel 2002, nel 2006 , 2007 e nel marzo 2008. Ad oggi, nell’ultima delibera datata settembre 2010, viene ridefinito il progetto di riqualificazione e il diritto di superficie per 90 anni nei confronti della Rimini and Rimini Spa, al termine dei quali tutte le opere torneranno in possesso dell’Amministrazione comunale.

Interviene il sindaco Alberto Ravaioli: “Si tratta di una proposta che in attuazione dell’Accordo di programma riguarda sia l’area della ex Murri, sia l’area di Mediterranea, sia l’area Ceschina, che prevede il rifacimento di piazzale Gondar, una rotatoria in prossimità di via Portofino, il rifacimento di via Portofino fino al sottopasso – conclude il sindaco -. Sono previste inoltre opere idrauliche, compresa la vasca di laminazione, e la riqualificazione di tutta l’area verde della Murri e di Mediterranea, del piazzale della Chiesa di Bellariva, di superfici pubbliche in area Ceschina, nonché oltre 1700 parcheggi in parte interrati, in parte a raso, in parte sopraelevati, a disponibilità sia del pubblico, sia del privato. Nel frattempo è stato portato a conclusione il procedimento per la realizzazione, attraverso project financing, del sistema di parcheggi sul lungomare”.

Servizio video Chiara Vannoni.

Stazione di Porta Vittoria a Milano

Milano Porta Vittoria è una stazione del passante ferroviario di Milano. È ubicata in viale Mugello, nella zona est della città. Si tratta di una stazione sotterranea dotata di quattro binari e due banchine a isola. La stazione costituisce interscambio con le linee filoviarie 90/91 e 93. A breve distanza transitano le linee tranviarie 12 e 27, le linee automobilistiche 45, 66, 73 e 73/, nonché la linea filoviaria 92. La stazione di Porta Vittoria entrò in servizio come stazione merci di superficie nel 1911, a servizio soprattutto del vicino Ortomercato che era situato dove oggi si trova Largo Marinai d’Italia. Nel secondo dopoguerra fu utilizzata anche per un servizio viaggiatori. Dismessa nel 1991, è stata successivamente demolita. L’attuale stazione è stata inaugurata il 12 dicembre 2004, in concomitanza con il completamento del passante ferroviario e l’attivazione del servizio ferroviario suburbano di Milano.

Servizio di Federica Giordani

Fonte: www.territorioscuola.com

L’ex Convento San Francesco a Rimini

Di quello che fu il convento di San Francesco a Rimini oggi resta ben poco. Situato in via IV Novembre, proprio dietro  il Tempio Malatestiano di Rimini, il primo chiostro risale al 1330. Con il passare del tempo alcuni locali del convento, soprattutto il refettorio e la sala capitolare, furono arricchiti da affreschi di noti pittori riminesi; alcuni sono stati attribuiti a Giotto. La presenza dei francescani, con il passare dei secoli, fu messa in particolare evidenza dalla biblioteca cui fece seguito una intensa attività libraria riminese dopo il 1430 e prima del 1452, quando viene aperta la biblioteca di Cesena. Chiesa e convento sono stati distrutti in buona parte dai bombardamenti dell’ultima guerra, ad oggi ciò che resta dell’antico convento San Francesco sono le mura di cinta che delimitano la struttura di cui rimane solo il ricordo, sotto gli occhi di tutti nel pieno centro di Rimini.

Servizio Chiara Vannoni.

L’Anfiteatro Romano a Rimini

L’Anfiteatro Romano di Rimini costituisce con l’arco d’Augusto e il ponte di Tiberio il terzo fra i grandi monumenti romani del Riminese. Sorge all’angolo est-nord-est della vecchia città romana. Eretto probabilmente nel II sec. d.C., oggi non rimangono che poche vestigia di quello che fu uno dei maggiori anfiteatri dell’Emilia Romagna. La sua funzione di luogo per combattimenti gladiatori non resistette a lungo. Già nel tardo impero l’anfiteatro fu incorporato nelle mura che venivano erette per resistere alle sempre più minacciose invasioni dei barbari e assunse una funzione militare di struttura adattata a forte. La facciata esterna che fronteggiava il mare ebbe chiuse le arcate per un fronte di ben 63 metri[1]. Non era peraltro questa una novità se ricordiamo come l’anfiteatro castrense di Roma sia stato inglobato nelle mura aureliane.

L’altra funzione, sorte tristemente comune a quella di tanti monumenti dell’antichità romana, fu quella di “cava” di pietre e laterizi ben squadrati, ottimi, in tempi di ristrettezze economiche, per la costruzione di altri edifici

Persa la funzione ludica, e non essendo costantemente necessarie le funzioni di difesa, l’anfiteatro, la cui struttura chiusa e massiccia era singolarmente adatta, divenne anche sede del lazzaretto. In epoca medievale, il grande edificio era già ridotto a un immane cumulo di rovine, circondato da terreni abbandonati e, se non incolti, limitati a poveri orti. Nel 1843, per opera dello storico della città Luigi Tonini (1807-1874) i resti della costruzione furono nuovamente riportati parzialmente alla luce. Cento anni dopo, durante la Seconda guerra mondiale Rimini subì pesanti bombardamenti e gravissimi danni; l’area dell’anfiteatro fu destinata a deposito di macerie.

Servizio Chiara Vannoni.

Edicola del VII secolo, complesso S.Girolamo di Rimini

L’Oratorio di San Girolamo a Rimini, andato distrutto nel bombardamento del 24 marzo 1944, fu costruito negli anni 1626-38 sul luogo del quattrocentesco oratorio di San Primo, grazie alle offerte degli aggregati della confraternita.Ad oggi una delle poche cose rimaste dell’antico oratorio è l’edicola. Compresa nel complesso del San Girolamo, posizionata sul retro e forse per questo dimenticata. Si tratta di una antica edicola del VII secolo ad oggi affacciata su un parcheggio retrostante il San Girolamo.

Servizio Chiara Vannoni.

L’antico Palazzo Lettimi a Rimini

Palazzo Lettimi rientra sicuramente tra le maggiori perdite che la seconda guerra mondiale ha arrecato al patrimonio storico artistico di Rimini, che costituiva uno dei pochissimi palazzi nobili di epoca rinascimentale della provincia. Il vuoto che ha lasciato la distruzione di palazzo Lettimi non è solo visiva, ma anche culturale: la storia del palazzo costituisce infatti una pagina importante delle vicende riminesi che con la scomparsa dell’edificio vanno recuperate dalle nebbie della storia. Questo video a testimonianza della attuale situazione in cui versa l’edificio cinquecentesco.

Servizio di Chiara Vannoni.