Archivio della categoria ‘ARCHITETTURA’

La town Hall di East London


Facciata metallica e tagliata al laser, con gli interni edwardiani rivisitati della Londra dei primi del ‘900.

Ristrutturare il vecchio municipio di East London ha significato non solo fissare un programma ben definito, ma dare una nuova e fresca identità allo storico edificio abbandonato. La struttura fu costruita nel 1910, e dotata di un’aggiunta nel 1937, essa cadde poi in disgrazia – fino alla sua odierna ristrutturazione in un moderno hotel per conferenze. Rare Architects, gli autori del progetto, hanno guardato da vicino il patrimonio del palazzo, sviluppando un arredamento moderno e una pelle suggestiva composto da una facciata in metallo tagliata al laser. Il risultato è una sintesi singolare di art deco e di design moderno che attraversa coraggiosamente la durata centenaria della costruzione. Il restauro mostra un interessante approccio al ripristino dell’architettura storica – esso è contemporaneo ma si rifà al design estetico originale.

Il municipio edwardiano situato su Cambridge Heath Road è caduto in disgrazia negli anni ’90, quando l’edificio neo-classico veniva usato raramente come location per shooting di film. E’ stato ora acquistato da un hotel developer, ragione per cui l’edificio ha subito una notevole metamorfosi che ha mantenuto intatti gli interni classici mentre si è avvolto l’esterno con una pelle di metallo moderno.

Gli interni riflettono il disegno classico degli edifici attraverso un attento restauro dei particolari architettonici e degli arredi eclettici. Ognuna delle 98 camere è unica in termini di dettagli e dimensioni, ma tutte condividono lo stesso particolare intarsio sulla facciata interna posta sotto il guscio metallico forato.

La pelle monolitica è realizzata in alluminio a taglio laser ed è stata sviluppata per portare coesione al progetto. Più integrazioni e ristrutturazioni nel corso degli anni hanno ignorato la storica presenza dell’edificio, ma la nuova facciata porta all’edificio un’identità contemporanea in un interessante contrasto con il disegno classico a lato della nuova strada, sottolineando la dignità del municipio.

La nuova facciata riduce il guadagno di calore interno all’albergo, mentre permette alla luce di filtrare attraverso le finestre così che il carico energetico globale risulta ridotto.

 

Fonte: Architetti.info

 

 

Passivhaus rivestita in bambù: a Bessancourt

Sorge a Bessancourt sulle rive della Senna vicino Parigi la casa foderata di bambù progettata secondo i principi costruttivi delle Passivhaus.

UNA COPPIA DI ARCHITETTI SCEGLIE PARIGI COME RESIDENZA. A capo del progetto una coppia di architetti – moglie e marito- di origine mittleuropea, i quali dal 2009 vivono all’interno di quella che nel vicinato è nota come “la casa di bambù”. Non è stato facile, raccontano i due progettisti, ottenere i permessi necessari per dare il via ai lavori. Prima casa passiva nella regione parigina, l’abitazione di Karanesheva e Witzmann ha dovuto conformarsi al passato architettonico della capitale.
Le istituzioni francesi hanno, infatti, richiesto che il tetto dell’edificio fosse spiovente e non troppi vani finestra, per una questione di privacy ( a questa richiesta si è ovviato con numerose finestre, perfettamente chiudibili, però, con persiane in bambù).

CARPENTIERI SPECIALIZZATI. Problematico, per i due designer, anche l’affidamento dei lavori, che per la tipologia di progetto necessitava di mano d’opera specializzata e non di semplici muratori senza adeguata formazione a riguardo. Grazie a un mastro carpentiere e una società parigina specializzata in edilizia sostenibile, il progetto riesce, però, a prendere piede, finendo per essere ammirato da tutta la comunità, la stessa che fino a qualche anno prima pareva scettica all’idea del bambù.Pannelli fotovoltaici sul tetto e nessun impianto di riscaldamento installato, la costruzione beneficia di ampie vetrate e, grazie alle proprietà del bambù di trattenere il calore all’interno dell’involucro, garantisce temperature confortevoli durante la stagione fredda. Meno costosa di un edificio, costruita con materiali 100% naturali e non trattati, “la casa in bambù” è diventata un punto di attrazione per turisti e studenti di architettura, che guardano ai due designer fondatori dello studio Karawitz e progettisti di altre 7 case passive, come un modello per la nuova edilizia green e riclabile.

Fonte: Casa&Clima

Abitare sostenibile: Casa Kike in Costa Rica

Casa Kike, edificio sostenibile realizzato a Cahuita in Costa Rica dallo studio Gianni Botsford architetti, è il progetto di un’abitazione privata che si pone il problema del rapporto con il luogo, della relazione con la preesistenza, dell’utilizzo di materiali locali, dell’analisi delle condizioni ambientali e climatiche e della ricerca di un linguaggio architettonico contemporaneo; un progetto completo, in sostanza, in cui principi insediativi, aspetti tipologici e scelte costruttive interagiscono a costituire un unicum nel processo ideativo.

E il risultato è un edificio davvero interessante in cui, a un struttura esistente tipica della tradizione costruttiva caraibica, in cui si è scelto di collocare la zona giorno, vengono affiancati due padiglioni in legno di alloro (pianta molto diffusa a livello locale) con copertura in lamiera d’acciaio ondulata, che poggiano su una base d’appoggio a palafitta, in legno anch’essa. Nel più grande si trova la zona giorno, con una biblioteca che ospita ben 17.000 volumi e lo studio, e nel più piccolo sono organizzate le stanze da letto e i servizi igienici.

La particolarità del progetto sta proprio nella capacità del progettista di leggere il contesto in cui realizzare il suo progetto: punto di partenza era la richiesta di non abbattere alcun albero e per questo motivo è stato necessario studiare attentamente l’area per cogliere quale fosse il punto più indicato dove edificare dovendo anche mantenere una relazione diretta con la struttura esistente. Questo è probabilmente il motivo per cui il progetto è stato articolato in due volumi connessi da una passerella. La scelta di rialzare l’edificio di 1,20 mt protegge l’abitazione da possibili inondazioni che, nel periodo delle piogge, sono frequenti in questa zona e, contemporaneamente, garantisce un maggior raffrescamento agli ambienti grazie al continuo movimento d’aria intorno ad ogni blocco. Le aperture, con i loro sistemi di chiusura e schermatura, si rivolgono al mare, sia per godere della vista panoramica sia per sfruttare la brezza marina. Anche la forma dei padiglioni trova una spiegazione nella lettura del contesto: è stata scelta una forma a parallelogramma modulata grazie allo studio dei movimenti solari per evitare ombreggiamenti dei volumi tra di loro e garantire una ventilazione continua negli ambienti di vita anche nel padiglione più piccolo che altrimenti avrebbe rischiato di collocarsi nell’ “ombra del vento”.
Tutti questi aspetti danno vita ad un’architettura che si inserisce nella tradizione costruttiva caraibica riletta in chiave contemporanea, nella ricerca di un costante equilibrio con il paesaggio naturale circostante che, in questo caso specifico, chiama fortemente ad un confronto sia dal punto di vista del linguaggio che si intende utilizzare, sia dal punto di vista ambientale, nel rispetto e nella sinergia con il clima locale e i materiali utilizzati.

Fonte: ArchitetturaEcoSostenibile

Greenbuilding: efficienza energetica e architettura sostenibile a Verona

Una tre giorni dedicata all’efficienza energetica e all’architettura sostenibile: e’ ‘Greenbuilding‘, la mostra-convegno internazionale in programma alla Fiera di Verona dal 4 al 6 maggio, nell’ambito di Solarexpo 2011.
Il via mercoledi’ 4 con il convegno promosso dal Centro Studi Greenbuilding e dal Ministero per i beni e le attivit culturali dal titolo La riqualificazione energetica degli edifici storici”; nel pomeriggio l’Associazione Co.Aer promuove ”Aerotermia e geotermia, dalla natura le fonti per un riscaldamento ad alta efficienza energetica. Il giovedì 5, il Kyoto Club propone il convegno ”Audit energetico sostenibile” sulle tecniche e procedure per la valorizzazione ambientale del patrimonio edilizio esistente. Attesa per gli ”Award Ecohitech: speciale lighting” le soluzioni di eccellenza basate su tecnologia Led dedicate alle evoluzioni del lighting organizzato da Consorzio Ecoqual’It. Nello stesso giorno la Federazione italiana uso razionale dell’energia organizza il workshop ”I nuovi sistemi di certificazione per le imprese, i servizi, le esco e gli esperti in gestione dell’energia”. La giornata finale e’ caratterizzata dal convegno ”Solarch – Building Solar Design & Technologies, l’integrazione architettonica di fotovoltaico e solare termico”, organizzato da Design Build Solar. Sempre al mattino l’Enea promuove ”Efficienza energetica e rinnovabili negli edifici: lo strumento delle detrazioni del 55%”. L’Istituto Nazionale Bioarchitettura propone il convegno nazionale ”Inpraticabioarchitettura 2011”: paesaggio e bioarchitettura” e l’Associazione nazionale amministratori condominiali e immobiliari la tavola rotonda ”Termoregolazione e contabilizzazione del calore negli impianti condominiali”

Fonte: Ansa

Londra: residenziale di lusso griffato Rogers

Non è ancora del tutto completo ma già rappresenta una delle icone del residenziale di lusso londinese il complesso Neo Bankside, progettato dal premio Pritzker Richard Rogers in posizione attigua alla Tate Modern, sulla riva meridionale del Tamigi.
La zona di Bankside è una delle parti più antiche di Southwark, area cittadina che negli ultimi anni è stata soggetta a grandi processi di trasformazione e rigenerazione urbana, incoraggiati dalla realizzazione di interventi quali la Tate Modern, il Globe Theatre e il Millennium Bridge.
A soli sei minuti a piedi dalla fermata di zona della metropolitana, il complesso Neo Bankside comprende cinque edifici (alti da 6 a 24 piani), il primo dei quali (articolato su 12 piani) è stato consegnato nel gennaio 2011.
199 le unità abitative “premium”, 34 quelle dedicate al “social housing”. Si va dai monolocali per finire agli attici con quattro camere da letto, per una superficie totale di 28.600 metri quadri. Il costo medio di un appartamento si aggira sui 6 milioni di euro.
A livello stradale sono inseriti gli spazi retail per un totale di 1.044 metri quadri. Una reception comune per tutti gli edifici è collocata nel punto centrale dello schema, alla base del più alto tra gli edifici del complesso. Nelle aree comuni sono previste sale da the, spa, area wi-fi per internet e sicurezza 24 ore su 24. Un ulteriore livello interrato dedicato a impianti e magazzini è posto sotto l’intero lotto. L’acquisto di un posto auto in garage si aggira sui 95mila euro.
Il progetto adotta un linguaggio contemporaneo che risponde creativamente all’articolazione e alla varietà cromatica del contesto architettonico, mediando tra i diversi stili architettonici e le scale che caratterizzano l’area. Questa varietà è in qualche modo ripresa attraverso i materiali costruttivi utilizzati, che vanno dai mattoni dai toni caldi simili a quelli degli edifici vittoriani della Southwark Street e della Tate Modern, al rigore fatto d’acciaio e vetro del complesso a funzione terziaria del Bankside 1/2/3 progettato da Allies and Morrison, spiegano da Rogers Stirk Harbour & Partners.
La controventatura esterna conferisce profondità visiva alle facciate della struttura, “ammorbidite” dalla presenza di schermi lamellari in legno, posti tra i due strati della pelle a doppio involucro vetrato ed alternati a solidi pannelli coibentati, dai colori caldi. L’intero intervento sarà ultimato all’inizio del 2012 in vista delle future Olimpiadi, che si terranno a Londra nell’estate dell’anno prossimo.

Fonte: ArchiPortale

CasaClima: il primo nido certificato dell’Italia centrale

Il primo asilo nido certificato CasaClima dell’Italia centrale è attivo ormai da un anno, in Emilia Romagna, in provincia di Modena.
Realizzato con intervento pubblico in un area ad alto potenziale in quanto precedentemente destinata ad un vivaio ormai dimesso, il progetto del nuovo asilo nido intercomunale Le Margherite di Spilamberto e Vignola si poneva come obiettivi di offrire spazi di alto livello qualitativo con un intervento il più possibile sostenibile sia in termini economici che, soprattutto, ambientali. Grazie al contributo delle educatrici e di pedagogisti, i progettisti hanno organizzato uno spazio strutturato in forme semplici che permetta ai bambini di interagire costantemente con l’esterno “inteso come luogo di espressione dei fenomeni naturali” (dalla relazione dell’ufficio tecnico). Per questo sono state pensati degli spazi verdi coperti su cui si affacciano direttamente le aule e si è cercato di salvaguardare il più possibile le preesistenze arboree presenti sul lotto e il bosco di tigli che occupa la zona ovest dell’area anche per garantire la protezione dai venti e quindi delle buone condizioni microclimatiche.
Le scelte tecnologiche hanno privilegiato l’utilizzo del legno come materiale principale perché permette di ottenere alte prestazioni energetiche e una notevole semplicità e quindi una maggiore velocità di esecuzione. E’ inoltre possibile utilizzarlo in abbinamento con diversi materiali ecocompatibili. Un impianto solare termico (con recupero del calore eventualmente non utilizzato) garantisce la produzione della necessaria acqua calda sanitaria e integra il riscaldamento prodotto da caldaie a condensazione ad alto rendimento collegate al sistema di pannelli radianti a pavimento.
L’energia elettrica è prodotta tramite pannelli fotovoltaici che alimentano lampade fluorescenti e per ridurre il più possibile il fabbisogno sono stati installati rilevatori di persona temporizzati che tolgono tensione alle zone non occupate e sensori di luminosità che regolano l’intensità dei corpi illuminanti. Questa attenzione all’utilizzo di tecnologie avanzate per ridurre i costi energetici e le scelte costruttive hanno permesso a questa struttura di essere il certificato in classe B secondo i parametri di CasaClima, con un consumo energetico nel periodo di riscalmento pari a 51,93 Kwh/mq anno.

Fonte: ArchitetturaEcoSostenibile

Andalucia: la casa di McLean Quinlan Architects

McLean Quinlan Architects per la progettazione di questa villa privata in Andalucia ha voluto creare un edificio che sfruttasse lo spettacolare paesaggio circostante e lasciasse un segno nel XXI secolo. Il sito ha una posizione panoramica con esposizione verso sud-ovest e una splendida vista verso il Mediterraneo, la Rocca di Gibilterra e la Serranía de Ronda.
L’edificio ha sette camere da letto per la famiglia e i suoi ospiti dislocate in tre “padiglioni” collegati tra loro da specchi d’acqua, giardini e terrazze in pietra.  Il paesaggio è stato fondamentale nel concept del progetto per la sua spettacolarità e la combinazione di influenze visive e solari insite nel paesaggio che creano un orientamento naturale per la costruzione e una serie di superfici parallele su un asse NE-SW.
Questi layer hanno definito sia ombra che lo spazio da cui godere della luce del sole andaluso, offrendo scorci affascinanti e plasmando tranquilli spazi per gli abitanti. L’effetto dell’ombra e dell’acqua, sul modello del giardino islamico, ha avuto sia un effetto pratico sia metaforico nella progettazione di tutto l’edificio, contribuendo a temperare il microclima e costituendo un delicato riferimento al contesto storico.

Fonte: ArchiPortale

Olgiata: centro sportivo riqualificato nel rispetto dell’ambiente

Non lasciare aree verdi insufficientemente attrezzate. E’ questo ciò a cui punta il progetto Punto Verde Qualità 20.12. Il Comune di Roma ne affida pertanto la gestione, dietro concessione, a differenti società private che abbiano la possibilità di realizzare servizi di interesse pubblico.
E’ in questo ambito che si inscrive il piano per l’ Olgiata Sporting Club, affidato a LAD, Laboratorio di architettura e design. Scelte progettuali e soluzioni architettoniche all’avanguardia, integrate nel paesaggio naturale preesistente su un’area di oltre 100.000 mq, realizzate nel pieno rispetto dell’orografia del luogo. Il risultato è un centro sportivo multifunzionale, situato al confine con il comprensorio dell’Olgiata e strutturato per operare in stretta relazione con i diversi edifici scolastici presenti nella zona.Tra i numerosi sport indoor previsti, si aggiunge anche la possibilità di praticare attività terapeutico – riabilitative.
TRE BLOCCHI DI EDIFICI COLLEGATI TRA LORO. La soluzione architettonica presenta una strategica divisione delle diverse funzioni in tre blocchi distinti e collegati tra loro, posizionati in modo da sfruttare al meglio l’illuminazione naturale, adeguata alle diverse funzioni degli edifici, per contenere i consumi energetici. Il primo edificio, con copertura apribile, è dedicato alle piscine, un secondo alle attività di gestione e ricreative, mentre il terzo ospita le palestre. La forma delle coperture è sviluppata su uno schema a boomerang che conferisce slancio e sinuosità alla struttura, integrandola in modo armonico al paesaggio circostante.
LEGNO LAMELLARE. Per l’orditura portante, LAD ha chiesto la collaborazione di Holzbau SpA, specializzata nella realizzazione di strutture in legno lamellare. La scelta del legno lamellare risulta, infatti, particolarmente adatta per conferire agli edifici la giusta luminosità e costituisce la trama su cui sono state inserite ampie vetrate, affaccianti sul parco circostante.
TECNOLOGIA E FASI COSTRUTTIVE. La forma dell’edificio deriva dal disegno delle travi in legno lamellare, a forma di boomerang. La struttura in legno copre, inoltre, tutti i manufatti e gli interrati. Le travi in lamellare seguono lo schema statico dell’arco a tre cerniere: la trave è incernierata a terra ad un plinto triangolare, copre una luce di 32 metri per poi appoggiarsi su un grande pilastro in cemento armato, che è parte integrante del reticolo strutturale in c.a.
PRIMA FASE. La prima fase costruttiva ha riguardato la movimentazione del terreno, l’incastro delle fondazioni e dei volumi interrati in C.A. nell’orografia esistente e ed il getto dei pilastri rastremati che devono portare le parti inferiori delle travi a boomerang.
SECONDA FASE. In seguito le strutture di fondazione e i volumi interrati sono stati coperti con l’orditura primaria e da un’orditura secondaria in arcarecci in legno lamellare. Sugli arcarecci è stato posato un tavolato in abete. Al di sopra del tavolato è stato steso un freno al vapore ed una doppia orditura di listelli all’interno della quale è stato posato un doppio strato di pannelli coibenti in lana di roccia (per un totale di cm 12), che assicurano trasmittanze termiche ampiamente inferiori ai minimi imposti dal D.L.311 2006.
TERZA FASE. Il tutto è stato coperto da una pannellatura in OSB, sulla quale è stato posato un telo sottotetto impermeabile traspirante ed un strato separatore che garantisce una micro-ventilazione tra l’impermeabilizzazione e ed il manto di copertura. Su quest’ultimo strato è stato posata la copertura in zinco Titanio a Doppia aggraffatura.
SISTEMI VETRO. Le vetrate sono state montate al di fuori del filo esterno della struttura in legno e ancorate ad una retrostruttura in acciaio. Questo permette di svincolare i movimenti dovuti alle deformazioni dei diversi materiali e renderli indipendenti l’uno dall’altro, garantendo un risultato finale più durevole. Molto particolare la copertura dell’edificio piscine, che è mobile e motorizzata; all’occorrenza può, infatti, essere aperta con un sistema a pannelli simili ai flap di un aereo. Questo crea una ventilazione naturale all’interno del volume architettonico finalizzata ad ottenere un risparmio sui costi di climatizzazione.

Fonte: Casa&Clima

Il classico design Starck: papà Philippe e la figlia Ara

«Un giorno, di pomeriggio, una luce, seduta a un tavolo, la voce di una donna disegna un amore, una passione che l’ha unita a una vita e ora a un vuoto». È Ara Starck, 32 anni, primogenita di Philippe, mito vivente del design made in France, ad aver scritto queste parole. «Ho immaginato un gruppo di donne, che parlano. Ricordano qualcuno che hanno amato e che non c’è più. Tutto è molto onirico, impalpabile».
Ara, pittrice, artista eclettica (perfino cantante e compositrice in un duo, The Two, che in Francia sta andando alla grande), dimostra meno della sua età. Piccola, carina, vispa, sorridente: quelle parole così melancoliche non sembrano all’apparenza corrisponderle.
Ci tiene subito a precisare di non essere decoratrice, né architetta. E di frequentare poco le discoteche e lo scintillante mondo del lusso (ma è comparsa nell’ultima campagna pubblicitaria di Cartier). Ara ha voluto collaborare con il padre su questo progetto di Baccarat, «la» maison del cristallo francese, all’avanguardia grazie all’originalità di Philippe, suo fedele designer. La figlia ha ideato un foulard, ispirato al gioco della dama, con quelle sue parole impresse ai bordi.
«Le donne – spiega – si confidano intorno a un vuoto». Dell’anima. E concreto: il vuoto dei bicchieri da riempire di champagne, disegnati da Philippe, in cristallo bianco e in quello nero (che fa tanto Starck): modello Harcourt, icona di Baccarat. Sei e sei, come altrettante pedine del gioco di una sera. O di una vita. Ara si sottopone alla domanda di rito. Chissà quante volte sentita. Il rapporto con il padre? «Mutuo rispetto», commenta. Philippe da bambina l’ha portata in giro per il mondo. «Il luogo che più mi colpì, a otto anni, fu Tokyo. Ci andai varie volte, restandoci a lungo. Fino a dodici anni ho indossato quasi sempre l’uniforme scolastica nipponica, con i grossi calzini ai piedi. Non ci sono più ritornata, ma sto organizzando un viaggio per il prossimo settembre. Da due anni faccio due ore al giorno di giapponese. Lo pratico con i turisti». Ce ne sono tanti nelle stradine intorno al palazzo dove ha sede il suo atelier (anche quello dal tocco molto starckiano). Primo arrondissement, ça va sans dire.
«Nella mia vita sono stata molto fortunata. Ho avuto così tante possibilità di studiare, di viaggiare e di crescere che altri non hanno avuto». Solo en passant ricorda la morte di sua madre, Brigitte Laurent, per più di vent’anni braccio destro di Philippe, quella che ne ha determinato la fortuna «commerciale», almeno all’inizio. Portata via da uno stupido cancro, quando Ara aveva appena 14 anni. Fortunata fino a un certo punto. Ottimista, sorridente. Ma pure melancolica. Ha studiato alle Belle arti di Parigi, poi alla Saint Martins di Londra e infine alla Slade School, nella stessa città. La pittura, la sua passione. E soprattutto gli affreschi di Goya, Tiepolo, el Greco. «Mi piace dipingere tele grandi. Forse perché sono piccola: voglio confrontarmi con qualcosa di più grande. Sempre più grande». Un giorno a New York entra in uno di quei negozi dove vendono le cartoline dalle immagini che cambiano, secondo il punto di vista. È la tecnica lenticolare. «Mi sono detta che, se applicata alla pittura, mi avrebbe permesso di esprimere di più. Di avere più spazio». Così è nata una serie di ritratti conturbanti, perfino un po’ dark, dove l’immagine della persona cambia («per una sola tela vanno fatti fino a sette dipinti»).
In parallelo Ara ha iniziato ad applicare la sua arte al mondo del lusso, collaborando con il padre. Quando Philippe ha ripensato il Meurice, uno dei palace parigini, gli hotel superlusso della città, lei ha dipinto un’enorme tela sul soffitto del ristorante gastronomico. Per il Royal Monceau, invece, inaugurato pochi mesi fa, ha ideato 266 abat-jour, «una diversa dall’altra», ci tiene a precisare. Ara da sempre, quando lavora nel suo atelier, ascolta musica. Sette anni fa ha conosciuto David Jarre, figlio di Jean-Michel, pioniere della musica elettronica. Da due anni hanno iniziato a comporre canzoni in inglese. E a cantarle. A Parigi The Two è il fenomeno musicale della stagione. Genere folk acustico. Lounge. Rilassante. Un po’ melancolico. Proprio come Ara.

Fonte: Luxury24

Idroelettrico: Etiopia vuole diga sul Nilo, Egitto non gradisce

L’Etiopia ha annunciato che è prossimo l’avvio di un progetto per la costruzione di un grande impianto idroelettrico sul Nilo Azzurro nella regione occidentale del Benishangul, a circa 40 chilometri dal confine sudanese. Lo ha dichiarato il primo ministro, Meles Zenawi, specificando che l’impianto idroelettrico avrà una capacità di 6.000 MW, un valore tre volte superiore all’intera potenza elettrica in servizio nel Paese a fine 2010.
L’Etiopia, infatti, con 76 milioni di abitanti, è dal punto di vista energetico tra i Paesi più poveri al mondo. La potenza elettrica installata a fine 2010 (quasi interamente idroelettrica) ammonta a 1.850 MW, e va considerato che la situazione ha subito un miglioramento, per quanto relativo, solo dall’inizio del 2010, quando sono entrate in servizio tre centrali idroelettriche per con potenza complessiva di 1.180 MW. L’annuncio del nuovo progetto di Benishangul ha provocato violente polemiche ed allarme in Egitto, che paventa il rischio di un impoverimento della risorsa idrica del Nilo, con grave danno per l’economia egiziana.
Sulla base di trattati firmati negli anni Cinquanta, l’Egitto che, insieme al Sudan, controlla circa il 90% del corso del fiume, mantiene un potere di veto sulle decisioni prese in materia di acqua prelevata dal Nilo. Un accordo di cooperazione firmato nel maggio 2010 da Etiopia, Uganda, Ruwanda, Tanzania, Kenya e Burundi (e fortemente osteggiato da Sudan ed Egitto) mira però a superare questa situazione e a dar vita ad accordi regionali per consentire progetti da avviare anche senza il parere preventivo dell’Egitto. Secondo quanto è stato dichiarato dal primo ministro etiope, i timori espressi dai funzionari egiziani sono in ogni caso “privi di fondamento” perché “si tratta di un progetto energetico, dove l’acqua viene usata e poi ri-immessa nel fiume” e che quindi “non pregiudicherà la portata a valle del fiume“. I lavori della nuova diga sul Nilo dovrebbero essere avviati a metà di quest’anno e concludersi per la fine del 2016.

Fonte: LaStampa

Benvenuti nel Contentainer: il policlinico riciclato dove si fa cultura

«È un tentativo di colmare gli effetti di un divario sociale sempre più evidente in Indonesia. La popolazione cresce e si allarga contemporaneamente la fascia di emarginazione. Troppe persone non hanno accesso ai servizi sociali essenziali». Così gli architetti dello studio Dpavilion di Surabaya spiegano il progetto Social Contentainer.
Si tratta di un policlinico gratuito con servizi sanitari di base e un centro ricreativo per l’emancipazione culturale della popolazione, con una biblioteca e i computer collegati a Internet. Il nome nasce dalla contrazione delle parole container+entertainer perché, continuano gli architetti, «in un paese come questo i ragazzi non trovano molte possibilità per un sano intrattenimento, c’è un gran bisogno anche di questo». La scelta di usare container nasce dalla volontà di riciclare materiale usato in via di smaltimento, l’idea di incastrarli in una struttura complessa e colorata è frutto nella necessità di renderlo visibile da ogni punto di Batu, il villaggio nella zona est di Java che lo ospita.
Ma l’impiego alternativo di container in Indonesia è anche una metafora: in un paese che vive di esportazioni a costi bassissimi, dove poco o niente è prodotto al livello locale per la crescita locale, i container simboleggiano l’elemento che contiene le merci che vanno e vengono per arricchire altre zone del mondo. Usarli come pezzi di un’architettura di servizio è fortemente significativo anche per un altro motivo: convertire un contenitore mobile di merci a contenitore di essere umani statico, è un atto simbolico di cambiamento. «Contentainer riflette una rapida evoluzione culturale, pensiamo sia possibile costruire spazi liberi, aperti, cosmopoliti», concludono gli architetti.
In una considerazione più ampia sul ruolo e il significato dell’architettura contemporanea Contentainer è un piccolo progetto che si pone come un esempio di un’idea realizzata che non si cura delle dicotomie bello-brutto, giusto-sbagliato, iconico-anonimo. È un felice esempio di architettura unica e contestuale, genius loci del nuovo millennio. Il loro manifesto è: “Kere bisa hore” che in indonesiano significa “anche un mendicante può”.

Fonte: Luxury24

West Kowloon: Norman Foster porta il verde a Hong Kong

Da oltre trent’anni alla testa di grandi progetti e infrastrutture pubbliche tecnologicamente innovativi e attenti agli aspetti sociali ed ecologici, Norman Foster si aggiudica la progettazione di West Kowloon, lungomare di 40 ettari con vista sul centro di Hong Kong. 5.000 alberi sul mare: su questa striscia di terra affacciata sul mare, l’architetto di Manchester, già noto nell’ex-colonia inglese per il grattacielo della HongKong&Shangai Bank e la progettazione del nuovo aeroporto della città, immagina un immenso parco composto da oltre 5.000 alberi, dominato a Nord da un’area che raccoglierà le istituzioni culturali, mentre ad Est e ad Ovest saranno dislocate, nelle intenzioni di Foster, strutture educative e di intrattenimento, un grande teatro -già promosso dal Governo locale- e M+, un museo d’arte contemporanea.
Nel cuore di questa enorme area verdeggiante “Foster and Partners” hanno pensato un lungo Avenue turistico-commerciale ombreggiato da piante, dove si concentreranno negozi, ristoranti e centri commerciali.
Con l’obiettivo di fare della capitale finanziaria dell’area asiatica anche un centro culturale e del tempo libero, è stato creato, qualche anno fa, il Cultural District Authority. L’organismo, costato al governo circa 21 miliardi di dollari, ha allestito un concorso internazionale volto a riqualificare l’area di West Kowloon. Con molti ritardi e rallentamenti, la competizione -latente dal 2006- è stata rilanciata nel 2010.
Le tre proposte selezionate, il «City Park» firmato Foster e Partners, un «Cultural Connect» dello studio locale Rocco Design Architects e il «Project for a new Dimension» dell’olandese Oma, sono state messe a disposizione dei cittadini in un’esibizione allestita appositamente all’Hong Kong Exhibition Centre. La mostra e un sito dedicato hanno permesso di raccogliere opinioni e commenti della gente, dei quali il Cultural District Authority ha tenuto largamente conto nella sua decisione finale di assegnare l’incarico allo studio di Foster. Il progetto, promettono le autorità, incorporerà alcune caratteristiche ed elementi delle due altre proposte, per non scontentare nessuno.

Fonte: Casa&Clima

Como: la Casa del Masso di Marco Castelletti

La Casa del Masso, inserita su un pendio inclinato che si affaccia verso il lago di Como al di sopra della via Torno, è percepibile nel panorama della costa del lungolago della città. La costruzione, progettata dall’arch. Marco Castelletti, si affianca ed è allineata all’edificio esistente, edificato su progetto dell’ing. Luciano Trolli nel 1955, e sfrutta il piano esistente che si trova come pausa tra i due declivi verso la via Torno e la parte alta del terreno, confermando la regola insediativa della villa adiacente. L’edificio è posto con accesso dalla scalinata che si snoda lungo il terreno in modo da affacciarsi verso il lago e si sviluppa su due piani. La composizione dei volumi è dettata dall’intersezione di due parallelepipedi: uno orizzontale e sospeso verso il panorama, sorretto da pilotis che accoglie gli ambienti di soggiorno tutti affacciati a lago e l’altro verticale verso il monte che contiene le scale e i locali di servizio.  
La presenza sul terreno di un notevole masso erratico affiorante di granito, difficilmente asportabile, ha suggerito l’idea di incorporarlo all’interno della casa per porlo come elemento particolare nello spazio dell’abitazione come se la casa fosse ancorata in questo punto dallo sperone affiorante della roccia. Il masso, reso visibile al piano terra dallo svuotamento del portico di ingresso, è percepibile da un vetro a pavimento all’interno dello spazio del soggiorno che si allunga a ponte verso il pendio retrostante.
L’organizzazione planimetrica dei due livelli rispecchia la scansione dei volumi e suddivide le superfici interne in due zone: una frontale affacciata direttamente a lago che accoglie tutti gli ambienti di soggiorno e le camere e l’altra retrostante che contiene la scala ed i locali di servizio. Questi due rettangoli, separati da un lungo corridoio attrezzato sono intersecati perpendicolarmente dalla giustapposizione verticale del sistema che mette in relazione il portico d’ingresso al piano terra, il soggiorno al primo piano e il ponte di collegamento con le rive retrostanti al piano del terrazzo.  
Si accede alla proprietà dalla rampa che sale sul piano del parcheggio esterno al di sopra dei box che si affacciano su via Torno, dalla quota del parcheggio si sale al piano dell’ ingresso principale con una scalinata che si snoda lungo il declivio o con un ascensore che risale inclinato a lato della villa esistente.  
Arrivati sul piano di ingresso un marciapiede coperto dallo sbalzo del volume superiore ci introduce nell’androne di ingresso dove una scalinata esterna porta all’atrio vetrato che inquadra la parte ipogea del masso erratico e si confronta con il paesaggio della città.
Al marciapiede esterno sono collegati l’unità abitativa più piccola che si sviluppa su due piani e la scala che conduce all’appartamento del piano superiore.  
La disposizione interna degli spazi distribuisce gli ambienti della cucina, soggiorno e delle camere verso l’affaccio a lago e i locali di servizio dei bagni e la stireria verso la collina. Il corpo scala continua per collegarsi al piano superiore con la terrazza ed il corpo dei depositi.  
I materiali utilizzati esaltano la composizione volumetrica e contrappongono il volume orizzontale sospeso completamento ricoperto di intonaco premiscelato in polvere con marmo bianco e le parti inferiore e posteriore rivestite in pietra naturale Iragna posata a strati orizzontali con spessori variabili da 3.4,5 e 6 cm e lunghezze differenti. La stessa pietra è stata utilizzata per i pavimenti dei marciapiedi esterni, della scala di ingresso e della terrazza al piano superiore. Completano la finitura delle parti aperte le vetrate realizzate con serramenti scorrevoli in alluminio preverniciato in colore grigio e complete di oscuramenti elettrici a lamelle dello stesso materiale.

Fonte: ArchiPortale

Alice Leonardi e il design di recupero

Recupero, riciclo e creatività alla base del lavoro di Alice Leonardi, una giovanissima eco designer milanese che, affascinata dagli oggetti abbandonati, scartati, gettate via, decide di rivalorizzarli. Superando automatismi mentali che ci fanno associare ad ogni oggetto una determinata funzione, la giovane designer dà sfogo alla sua creatività realizzando lavori che sorprendono per la loro originalità.
E allora, ecco che scarti meccanici si trasformano in orologio e un classico gratta formaggio, soppiantato dai nuovi apparecchi elettronici, si trasforma in una lampada, la grattaluce per l’appunto. Le sperimentazioni, sempre legate al tema del riuso e riciclo di vecchi oggetti, avvengono presso LEALICI, un laboratorio artistico-artigianale alla continua ricerca di nuove forme e nuovi design. Lampade e oggetti di arredo hanno un grandissimo spazio all’interno del laboratorio… ce ne sono di tutti i tipi: pezzi unici, nati da incontri speciali tra scarti, e pezzi ripetibili, ovvero quelli con cui, come ama definire la stessa designer, la storia non è mai finita. Associare ad un oggetto una funzione diversa da quella a cui siamo solitamente abituati, fa sorridere, riflettere, sorprendere. Pensate ad esempio ad un imbuto attaccato al soffitto e un filo che lo attraversa con uno scolapasta all’altra estremità. Una fusione assurda? No! Un originalissimo lampadario che crea effetti di luce esclusivi. Ti piacciono i lavori di Alice Leonardi e vuoi vederne degli altri? Clicca qui.

Fonte: ArchitetturaEcosostenibile

Napoli: basiliche in comodato d’uso a chi le restaura

Offrire le basiliche in comodato d’uso a imprenditori e associazioni che volessero restaurarle e aprirle al pubblico con attività culturali, artistiche, sociali, di formazione e laboratori teatrali.
Questa l’iniziativa lanciata dal cardinale Crescenzio Sepe per l’apertura del Giubileo per Napoli e del mese di marzo che sarà dedicato alla cultura. Cento le chiese coinvolte, come afferma il cardinale stesso: Sono centinaia gli edifici della Curia che potrebbero essere adottati. Penso San Giovanni Maggiore, San Giorgio dei Genovesi, Santa Maria in Cosmedin, Sant´Agostino alla Zecca, Santa Maria Vertecoeli. Ma è lungo l´elenco delle meravigliose chiese napoletane ancora chiuse dal terremoto del 1980 e che, per una ragione o per un´altra, non sono state ancora riaperte. L’invito del cardinale è aperto a chiunque voglia partecipare al recupero delle chiese – prosegue – imprenditori, associazioni, insomma tutti coloro che hanno progetti interessanti non solo al recupero delle chiese, che in molti casi sono delle vere e proprie opere d’arte, ma anche a progetti di sviluppo territoriale.
Gli edifici utilizzabili secondo la Curia sarebbero oltre cento e rientrano nel patrimonio della Diocesi e delle Arciconfraternite. A sostenere questa iniziativa ci sono anche la Soprintendenza e la facoltà di Architettura dell´Università Federico II. Nel progetto del cardinale le chiese saranno concesse in comodato d´uso per alcuni anni a coloro che le riapriranno. Sepe ha infine inviato una lettera aperta alle diocesi di altri paesi perché siano coinvolti nel progetto.

Fonte: ProgettoRestauro

Il cubo di Taipei: l’architettura della spirale

Il contenitore è un cubo, 57 metri di lato. Lo spazio interno è una suggestiva spirale che da terra porta fino al tetto con un percorso pedonale che “sfonda” le pareti offrendo scorci scenografici in una scalinata infinita. Una struttura complessa che però si articola come un corpo unico, con linee sinuose e armoniche, grazie alla serie di lamelle che lo compongono e che plasmano lo spazio attraverso la replica di curve convesse.
E’, o meglio, sarà il Tek Center di Taipei, centro polifunzionale di prossima costruzione della Taiwan Land Development Corporation, società specializzata nella valorizzazione, recupero e sviluppo di aree industriali e residenziali. Il progetto è stato realizzato dallo studio danese Bjarke Ingels Group e coordinato dall’architetto Cat Huang. Il Tek ospiterà al suo interno un hotel, negozi, uffici showroom e un auditorium.

Fonte: LaRepubblica

La scheggia di Renzo Piano: il grattacielo senza parcheggi

Incompleta, comincia a svettare nella skyline di Londra, ma quando sarà terminata è destinata a diventare la torre più alta d’Europa. Eppure il grattacielo griffato da Renzo Piano in corso di costruzione non distante dal London Bridge non piace a tutti. Anzi tra i suoi più fieri oppositori c’è il principe Carlo.
Il Shard London Bridge, o anche Shard of glass sarà come un’enorme scheggia di vetro e acciaio non distante dal Ponte di Londra. Con i suoi 87 piani fa parte di una riqualificazione che prevede la risistemazione della piazza antistante, del ponte e dell’ingresso diretto alla vicina metropolitana per un’operazione valutata oltre 2 miliardi di euro.
The Shard sarà alto 310 metri e al suo interno ospiterà un albergo 5 stelle, uffici per 7mila impiegati e soprattutto negli ultimi piani appartamenti di lusso da 12 milioni di euro l’uno. In cima 4 livelli tutti vetrati per un panorama d’eccezione. Attenzione ai consumi energetici, soluzioni tecnologiche innovative e quasi totale assenza di parcheggi caratterizzano gli aspetti più tecnici. L’intera riqualificazione verrà completata entro maggio 2012 in tempo per le Olimpiadi che catalizzeranno le attenzioni mondiali sulla capitale del Regno Unito.
La città dove fervono i lavori si presenterà all’appuntamento con un look completamente rinnovato, interi quartieri ricostruiti e nuove strutture sportive, su cui hanno messo la firma alcuni degli architetti più importanti del Mondo. Ma il progetto che fa più discutere è quello dell’archystar genovese. Se infatti il sindaco di Londra, Boris Johnson ha definito The Shard un esempio del superamento della crisi economica da parte di Londra, il principe Carlo ha parlato di “un’enorme saliera” criticando apertamente la sua forma.
Due dei principali giornali londinesi stanno cavalcando la polemica: il Financial Times e il Daily Telegraph hanno dedicato intere pagine al nuovo edificio ben prima che sia finito. Molti cittadini ritengono che il disegno sia fuori posto, perché mal si amalgama con il resto delle costruzioni sul lungo fiume. Il destino della nuova torre insomma sembra essere lo stesso del grattacielo firmato da Norman Foster a forma di enorme pallottola oppure – come è stato soprannominato – di cetriolo, “the Gherkin”. Una struttura che ormai è diventata emblematica della nuova Londra e non manca di essere visitata dai turisti e rappresentata in film e fiction.

Fonte: BlitzQuotidiano

LilyPad: la città anfibia a forma di ninfea

Quella di Lilypad è la storia di un sogno. Nato nella mente creativa di un giovane architetto belga, Vincent Callebaut, il progetto avveniristico di Lilypad si ispira alla perfezione della natura.
Il modello è infatti la foglia di un fiore acquatico: la ninfea che scientificamente porta il nome di Amazonia Victoria Regia in onore della regina Victoria, cui nel XIX secolo fu dedicata la scoperta di questa specie da parte del botanico tedesco Thaddeaus Haenke. L’ambizione è grande almeno quanto il nome: il sogno di Callebaut è infatti quello di creare – basandosi sui principi della biomimetica- la prima città anfibia della storia, a metà tra terra e acqua e in totale armonia con la natura.
Sappiamo bene – anche perché ce lo sentiamo ripetere in continuazione – che a causa dell’uomo la terra si sta surriscaldando, e che il livello dei mari minaccia di innalzarsi pericolosamente: lo scioglimento dei ghiacci perenni situati sulla terraferma, in Groenlandia e nell’Antartico, promette di erodere progressivamente tratti sempre più ampi delle coste. Un innalzamento di un metro cancellerebbe buona parte delle coste in Olanda, Egitto e Bangladesh. Due metri di acqua in più spazzerebbero via New York, Bombay, Calcutta, Miami, Djakarta, Shanghai, Alessandria…il tutto devastando non solo popoli e paesi, ma anche grandi ecosistemi. In termini di sfollati, ecoprofughi, la previsione è di quasi 230 milioni di persone costrette a migrare, senza contare la fetta di popolazione che si sta insediando appena adesso in queste aree urbane, incurante del fatto che nel giro di relativamente poco tempo potrebbero essere inghiottite dal mare.
Lilypad nasce innanzitutto in previsione di questa emergenza, ma non solo: essendo progettata in modo da essere interamente autosufficiente, nel caso in cui venisse realizzata questa città anfibia permetterebbe di rispondere alla quattro sfide lanciate dall’OECD, e riguardanti cioè clima, biodiversità, acqua e salute. Così come la foglia di ninfea a cui è ispirata, Lilypad ha una forma plastica, morbida, é fatta per scivolare sull’acqua, per seguire le correnti e le stagioni, per approfittare del sole, della pioggia e dei venti. Rispetto alla sua matrice vegetale, però, é 250 volte più grande: dovrebbe poter ospitare fino a 50.000 persone. La “pelle” di Lilypad é fatta di fibre di poliestere ed é ricoperta di biossido di titanio: reagendo ai raggi ultravioletti quest’ultimo assorbe l’inquinamento atmosferico. Grazie all’integrazione complessa di tutte le forme di energia alternativa, dei processi di depurazione naturale (fitodepurazione) e del trattamento delle biomasse organiche, la città anfibia vanterebbe zero emissioni e addirittura finirebbe con il produrre più energia di quanta non ne consumerebbe. Una vera e propria ecopoli riciclabile e galleggiante insomma, capace di stimolare autonomamente processi di rigenerazione (resilienza) e di rendersi autosufficiente anche dal punto di vista alimentare. Equilibrata anche nella distribuzione “geografica”, la città ideale sarebbe delimitata da tre aree marine e tre zone montagnose, che circonderebbero un profondo cuore acquatico centrale, una vera e propria zavorra d’acqua attorno alla quale sviluppare la vita cittadina. Le sei aree sarebbero adibite alle attività lavorative e ricreative, mentre la laguna centrale, che affonderebbe ben al di sotto del livello del mare, ospiterebbe floride acquacolture. Lilypad incarnerebbe un sogno ambizioso e complesso. Ma la vedremo davvero galleggiare al largo delle nostre coste, un giorno? Nessuno può dirlo. Per quanto il progetto sia stato concepito nei dettagli e presenti innumerevoli spunti innovativi, rimane l’ostacolo più grande: un costo immenso, che di certo i “rifugiati” del futuro non potranno permettersi. Ma la speranza é che progetti come questo facciano vibrare le corde giuste, ci sensibilizzino, ci rendano più consapevoli e partecipi dei destini dell’umanità su questa terra. E chissà che pian piano le nostre città non comincino a trasformarsi in questa direzione, trascinate dalla voglia di perseguire idee audaci come questa.

Fonte: GreenMe