Il caso di Typuglia: quando il cibo incontra l’eco-design

Ci sono tanti modi che consentono di far nascere idee. A volte vengono fuori dalla mente geniale di uno studente un po’ sfigato e solitario, altre volte sono frutto di tempestosi pomeriggi, chiusi in una stanza, a riflettere insieme con un gruppo di persone. Altre volte ancora, possono essere il frutto di un contagio ambientale. Come se a un certo punto l’aria non trasportasse più solo particelle di ossigeno, ma anche creatività, voglia di fare, di provarci, di riuscirci.
Qui, in Puglia, si stanno facendo molte cose per la sostenibilità. Ed è ovvio che quando vedi che attorno a te nascono impianti fotovoltaici o sono finanziati progetti per il compostaggio e il recupero dei rifiuti, tutti cambiano atteggiamento e acquisiscono una sensibilità diversa nei confronti dell’ambiente. A dirlo è Leonardo di Renzo, un designer andriese che, dal canto suo, confessa di essere uno tra coloro che sono stati unti dalla febbre creativa di cui la Puglia, da qualche tempo, è protagonista. La sua idea mette insieme gli ingredienti principali che questa terra porta con sé: il cibo di alta qualità, la naturale inclinazione alle cose belle, l’attenzione nei confronti della natura e tanta accorata passione. Mescolando è venuto fuori Typuglia, un brand nato per nutrire occhi e palato dei designer buongustai. Un “esperimento”, come ama definirlo Leonardo, che propone un modo diverso di distribuire il cibo. La mia terra è piena di prodotti buonissimi. Molti di essi rispondono a tradizioni antiche e continuano a essere realizzati a mano, secondo modalità di produzione lente ma che garantiscono un’elevata qualità. Mi piaceva l’idea di raccoglierli e di distribuirli sotto un marchio che non fosse soltanto un’ennesima etichetta, ma anche un oggetto bello, riciclabile, capace di comunicare il territorio e la sua tipicità.
L’esperimento ha avuto inizio con uno dei prodotti più caratteristici della cultura contadina pugliese: l’olio. Leonardo gli ha costruito attorno un’ orcia di terracotta, simile a quelle che per anni sono esistite sulle tavole delle masserie pugliesi, e una scatola di cartone che dopo aver esaurito il ruolo di involucro della bottiglia, può essere usata come lume da tavolo. Il filo conduttore che tiene insieme tutto è la tipografia. “Una mania” che porta Leonardo a collezionare vecchi tipi recuperati e acquistati da anziani tipografi. “Sono come pezzi di storia che io cerco di non far morire. Raccontano di un tempo in cui la stampa si faceva con le mani, affastellando un pezzo accanto all’altro, ci si sporcava e ci si dannava quando la stampa non era venuta bene. E accadeva spesso.” Ogni confezione contiene in sé una lettera originale. Come l’inizio di una parola da completare. Leonardo produce i suoi pezzi nella cantina di casa per il momento, assemblandoli con la cura certosina di un Gutenberg degli anni duemila. Si fa aiutare da qualche amico o sciagurato collega che inganna, invitandolo per caffè che si trasformano in lavoro. La sua manodopera è lontana anni luce da quella delle grandi industrie alimentari. Parla la lingua della lentezza, della rarità e delle cose buone. Per certi aspetti, sono aggettivi, questi, che sembra abbiano poco a che fare con il mondo dei supermercati. Del resto, Leonardo non ha nessuna intenzione di sottoporre i suoi prodotti alla guerra dei prezzi dei centri commerciali. Vorrei che questi prodotti siano presenti in luoghi dove di solito il cibo non è contemplato. Come il circuito del design, dell’arte e della cultura. La gastronomia, dal mio punto di vista, è più vicina alla creatività che al mangiare. Idee che stanno piano piano diventando realtà se, come dice Leonardo, molti musei stanno rispondendo positivamente alla proposta di mettere l’olio nel bancone dei gadget di alto profilo che si trovano nei loro bookshop. Ho in mente un percorso ma non ho ancora una meta. All’inizio tutto doveva essere un semplice blog e invece è diventato un investimento. Chissà dove mi porterà la perseveranza. Gli auguriamo lontano.

Fonte: GreenMe

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